Quando ci penso, mi sembra quasi di sentire un eco costante: lamentele, critiche, accuse. Non erano cose sporadiche, capisci? Era un loop infinito che, alla lunga, mi ha consumato. È come avere un macigno costantemente sulle spalle, uno che non puoi scrollarti di dosso. E forse è proprio questo che mi ha trascinato nel buio della depressione, o almeno una parte del motivo.
Non è solo la relazione con Inès. È anche il lavoro, doppio per necessità, e la fatica di reggere il peso di tutto questo. Ogni tanto penso che, se potessi almeno alleggerire quel carico, starei meglio. Ma, sai una cosa? Nonostante tutto questo, sento di essere cresciuto. Mi sono messa a lavorare su me stessa, seriamente. Ho scritto persino 170 pagine di pensieri, emozioni e riflessioni. Una sorta di terapia autogestita.
Eppure, per lei, scrivere è solo un altro sintomo del mio stato d’animo. “Scrive, è depressa,” dice con nonchalance. Come se bastasse quella frase a spiegare tutto. Ma sai, scrivere mi ha dato più sollievo di qualsiasi seduta con la sua amata psicanalista.
L’amore che svanisce
Quello che mi tormenta davvero, però, è una domanda semplice: mi ama ancora? O, peggio, mi ha mai amata davvero? Io credo di no. Non sono altro che il suo colpo di fulmine di mezza età, uno di quelli intensi, sì, ma destinati a svanire. E ora mi ritrovo qui, a pensare a quanto sia stato ridicola cercare di cambiare per lei. Dimagrire, adattarmi ai suoi ritmi, accettare il caos che porta con sé. Non sono io il problema.
Mi ha imposto tutto: orari, regole, persino un esercito di animali che ha trasformato la casa in qualcosa di irriconoscibile per me. Io ho accettato tutto, perché la vedevo felice. Ma questo cosa dice di me? Ho sacrificato una parte di me stessa per qualcuno che, ora ne sono certa, non avrebbe mai fatto lo stesso per me.
Il peso degli sforzi non corrisposti
Ho fatto tanto, troppo. Ho accettato cose che andavano contro la mia natura, contro il mio bisogno di ordine, di chiarezza. L’unica cosa che sono riuscita a “concedermi” è stata la regola del cane fuori dal letto. Tutto il resto, l’ho lasciato andare. E ora mi rendo conto che non c’è mai stato un vero equilibrio.
Inès, invece, si è fissata su cose come il ménage perfetto. L’anno scorso era il turno della pulizia ossessiva. Ho cercato di seguirla anche lì. E ora mi dice che dovremmo passare più tempo insieme. È ironico, no? Perché tre anni fa ero io quello che implorava un po’ di tempo per noi. E lei? Mai una risposta, mai un passo verso di me.
Una stanchezza che logora
Oggi mi trovo qui, esausta, a raccontare tutto questo, perché ho bisogno di liberarmi. Sono stanca di vedere i miei strumenti di lavoro distrutti, di ripetere al suo cane di non salire sul divano mentre lei non fa nulla per fermarlo. Sono dettagli, lo so, ma sono anche simboli di qualcosa di più grande.
Ho provato a fare tutto il possibile. A dare tutto ciò che potevo. Ma a un certo punto, ti rendi conto che non è mai abbastanza. Non per qualcuno che non è disposto a incontrarti a metà strada.
Cosa rimane
Scrivere queste parole non risolve nulla, ma mi dà almeno un po’ di respiro. Mi aiuta a mettere ordine nel caos che mi porto dentro. Non so dove mi porterà questa riflessione, se mi spingerà a prendere decisioni che sto evitando da troppo tempo. Ma una cosa è certa: non posso più ignorare quello che sento.
Perché la verità, a volte, è semplice. Non puoi continuare a sacrificarti per qualcuno che non è disposto a fare lo stesso per te. E io, ora, ho bisogno di ritrovare me stessa. Anche se significa chiudere un capitolo che pensavo durasse per sempre.