Ogni anno, appena spuntano i primi calendari dei Pride, qualcuno sbuca fuori a dire: “Eh, ma che bisogno c’è ancora? Non siete già liberi?“. E ogni volta, puntuale come le zanzare a giugno, tocca ribadire che sì, il Pride serve ancora. Serve eccome. E non solo quello delle grandi città, con i carri arcobaleno e le drag queen sui tacchi alti. Servono soprattutto quelli più piccoli, quelli di provincia, quelli che ti fanno sentire meno solo in una terra dove magari di arcobaleni veri ne vedi pochi, e quando li vedi è perché ha piovuto pure dentro casa.
Il calendario dei Pride 2025 in Italia è ricco, variegato e colorato quanto basta per far tremare le ciglia a chi ancora pensa che parlare di diritti sia una moda passeggera. Dal Sanremo Pride ad aprile al Brianza Pride di settembre, passando per tutte le sfumature queer della penisola: c’è un Pride per ogni gusto, ogni città, ogni cuore (tranquillə, non lo scriveremo). C’è chi sfila per la prima volta con le mani sudate e il cuore in gola, e chi ci torna ogni anno come fosse casa. C’è chi arriva con la bandiera legata allo zaino e chi con la paura nello stomaco, ma pure con una voglia di gridare che manco allo stadio.
Ora, facciamo chiarezza su una cosa. Partecipare al Pride non è solo una passeggiata allegra tra coriandoli e glitter (che poi, viva il glitter, per carità). Partecipare al Pride è un atto politico. E no, non serve essere attivisti con la A maiuscola. Basta esserci. Metterci la faccia. Mettere il corpo in strada, in mezzo ad altri corpi, e dire: ci siamo. Esistiamo. Meritiamo rispetto, diritti, amore. Anche in paesi dove ancora si sente dire che “certe cose è meglio non mostrarle“. Come se l’affetto tra due persone fosse qualcosa da nascondere dietro le tende, mentre lo squallore della violenza quotidiana passa sotto silenzio.
Ecco perché i Pride locali sono fondamentali. Perché portano l’arcobaleno dove non arriva mai, dove magari una ragazzina lesbica cresce pensando di essere l’unica nel raggio di cento chilometri. Perché fanno rumore dove il silenzio è diventato normalità. Perché creano comunità dove prima c’era solo solitudine. E no, non sono facili da organizzare. Mettere su un Pride in provincia vuol dire affrontare burocrazia, ostilità più o meno dichiarate, disinteresse istituzionale e anche la vecchietta che ti guarda male al bar perché hai i capelli blu. Ma ogni passo fatto, ogni slogan gridato, ogni ballo improvvisato sotto un palco improvvisato, ha un peso specifico enorme. E chi ci partecipa, lo sa bene.
Il 2025 si preannuncia come un anno pieno di appuntamenti da segnare in agenda. I Pride toccano praticamente tutta Italia, da nord a sud, isole comprese. C’è spazio per le prime edizioni, come quella di Paesello Pride in Sicilia, e per i grandi ritorni, tipo il Milano Pride o il Roma Pride. Ma ci sono anche tante date “in forse”, cortei da confermare, realtà che stanno lavorando sodo per esserci anche quest’anno. Per questo, è fondamentale sostenere non solo i grandi eventi, ma anche (e forse soprattutto) quelli più piccoli.
E non serve fare grandi cose: basta condividere, partecipare, parlarne. Basta far sapere che ci sei. Che credi in una società dove tutte le persone, indipendentemente da chi amano o da come si sentono, possano camminare per strada senza abbassare lo sguardo.
Nel dubbio, una data segnatela. O anche due, tre, quante ne vuoi. Che sia il Pride di Milano, con i suoi carri pieni di glitter e speaker a palla, o quello di un paese dove per farti capire cos’è un pride devi partire dalla Treccani. Prendi un treno, una bici scassata o quel regionale che sembra uscito da un film neorealista, e vacci. Mettici il tuo tempo, la tua voce, pure solo la tua presenza. Porta un cartello, un sorriso, un abbraccio, o anche solo la voglia di ascoltare. Non serve essere esperti di attivismo, basta essere umani e stare.
Perché il Pride, in fondo, è questo: stare. Stare quando sarebbe più comodo restare a casa. Stare anche se fuori piove, anche se ti tremano le mani, anche se ti senti un pesce fuor d’acqua. Stare per chi non può, per chi non ce la fa, per chi ci sta provando. Stare perché la visibilità è contagiosa, e quando vedi qualcunə che ti somiglia, anche solo un po’, magari smetti di pensare che sei sbagliatə.
Quindi sì, anche nel 2025, il Pride serve. Non come evento patinato da Instagram, ma come spazio reale di vita, di respiro, di comunità. Serve come l’acqua in agosto. E no, non per fare scena. Ma perché là fuori c’è ancora troppa gente che aspetta di vedere un arcobaleno e capire che non è sola.
E a quel punto, magari, anche se sei solo passatə per curiosità, capisci che sei parte di qualcosa. Non di un carro, ma di un cammino. E se ci camminiamo insieme, forse si va anche più lontano.