Uff, che stanchezza. Non parlo solo di quella fisica, che arriva a fine giornata dopo ore passate a lavorare davanti a uno schermo o a correre da un impegno all’altro. No, questa è una stanchezza diversa, più sottile, più viscerale. Una stanchezza che ti abbraccia come un mantello pesante e ti accompagna ovunque, facendoti sentire sempre un po’ fuori fuoco.
Negli ultimi giorni ho bevuto troppo. E sì, lo so, non è la soluzione, soprattutto quando ero riuscita a smettere e a dedicarmi a cose più sane. Ma ogni tanto capita. Si accumulano tensioni, pensieri, responsabilità e, senza nemmeno rendertene conto, ti ritrovi a cercare una via di fuga, anche se è temporanea, anche se sai che non è quella giusta. La verità è che il carico emotivo di quest’anno si fa sentire tutto insieme, e non avere mai un momento per me stessa non aiuta.
Mi sento come se il peso del mondo fosse tutto sulle mie spalle. Tutti intorno a me sembrano essere in difficoltà: colleghi in burnout, amici depressi, persone care che cercano conforto. E io, nel tentativo di esserci per tutti, mi dimentico di esserci per me. Non è una bella sensazione, ve lo assicuro. È come se stessi andando avanti con il pilota automatico, senza riuscire a fermarmi, senza poter dire: “Ok, ora basta, questo è il mio momento”. Ma è quello di cui ho bisogno. Scrivere, leggere, scattare foto, fare qualcosa che mi ricordi chi sono davvero.
E poi c’è il lavoro. Ah, che batosta. Uno dei miei clienti mi ha chiesto di abbassare il mio prezzo giornaliero per il prossimo anno. È stato come un pugno nello stomaco. Ho passato anni a costruire la mia professionalità, a dimostrare il mio valore, e sentirmi dire che devo “valere di meno” è stato davvero difficile da accettare. Ho ceduto, lo ammetto. Ho abbassato leggermente il prezzo, perché non avevo scelta, ma dentro di me c’è una voce che urla: “Non è giusto!”. Perché la qualità si paga, e io so di essere brava in quello che faccio.
Eppure, anche questa insicurezza lavorativa si aggiunge al resto, alimentando quella sensazione di precarietà che ormai sembra essere diventata una costante. E con il Natale alle porte, il tempismo di questa richiesta non poteva essere peggiore. Doveva essere un momento di pausa, di riflessione, e invece mi ritrovo con mille domande su come andrà il prossimo anno e su come gestire tutto.
E poi c’è l’amore. Ah, l’amore. Ultimamente, più che a persone reali, il mio cuore sembra essersi affezionato a un personaggio di fantasia: Vi, di Arcane. Non so perché, ma c’è qualcosa in lei che mi affascina. Forse è la sua forza, il suo carisma, quella combinazione di sicurezza e vulnerabilità che mi colpisce ogni volta. Un’amica mi ha detto che le somiglio, ma onestamente non credo. Forse è più una questione di ammirazione, quel desiderio di essere un po’ come lei, di avere quel coraggio e quella determinazione.
Eppure, nonostante queste fantasie, mi sento spenta. Come se qualcosa dentro di me si fosse rotto. È una sensazione strana, difficile da spiegare. Forse è un meccanismo di autodifesa, forse è solo stanchezza. Ma mi manca qualcosa. Mi manca quell’eccitazione, quella scintilla che rende la vita di coppia speciale. Non fraintendetemi, mi piace avere qualcuno accanto, non dormire sola, ma sento che c’è qualcosa che non va.
Devo capire cosa voglio davvero, ma è difficile farlo quando non riesci mai a fermarti, quando il mondo sembra chiederti continuamente di fare, di dare, di esserci. Forse le vacanze di Natale mi aiuteranno. Il 24 sarò finalmente in pausa, e spero di trovare il tempo per riflettere, per prendermi cura di me stessa.
Non sarà facile, lo so. Ma sento che devo farlo. Perché non posso continuare così, a correre senza sapere dove sto andando, a portare pesi che non sono miei. Devo imparare a dire no, a mettere me stessa al primo posto, anche se mi sembra egoista. Perché in fondo, prendersi cura di sé non è egoismo. È amore per sé stessi. E forse, proprio da lì, posso ricominciare.