Eccomi qui! E no, non sono sparita, né tanto meno tornata alla vecchia monotonia dell’alcool. Anzi, ora invece dei giorni conto le settimane di sobrietà, e con mia grande sorpresa, non sento più la mancanza di quel bicchiere che prima sembrava indispensabile. Certo, c’è voluto del tempo, ma finalmente mi sento in controllo e, soprattutto, mi sento di nuovo viva. La sensazione di riscoprire la lucidità è qualcosa che non avrei mai immaginato di apprezzare così tanto.
Ho ripreso lo sport, con una serietà quasi maniacale, e non mi sono fermata qui. Tra un’attività e l’altra, mi sento in formissima! Yeah! Però, come sempre accade nella mia vita, c’è un piccolo tarlo che mi tormenta, e questa volta si chiama judo. Tornare o meno a praticarlo? Ecco la domanda che mi ronza in testa. Una decisione apparentemente semplice, eppure così incredibilmente complessa.
Ho iniziato judo quando avevo undici anni. Un amore a prima vista, di quelli che non ti lasciano mai. Ero così appassionata che sognavo di entrare nelle Fiamme Azzurre e continuare a livello agonistico. Una visione della mia vita che sembrava tanto chiara quanto irraggiungibile. Mi vedevo già tra i migliori, con la mia cintura che sventolava fiera. Insomma, avevo l’energia e la determinazione per arrivare lontano. Poi, come spesso accade, la realtà si è messa di traverso.
Il primo colpo? Gli infortuni. Ah, quei simpatici compagni di viaggio che nessuno invita, ma che si presentano lo stesso. Prima la spalla, che ha deciso di uscire letteralmente fuori dal suo posto (e no, non in senso figurato), poi il ginocchio destro ha voluto unirsi alla festa. Una rottura parziale dei legamenti, seguita da una rottura totale con bonus menisco, giusto per non farmi mancare nulla. Cinque anni fa, ho avuto il secondo intervento chirurgico, e da allora il ginocchio è diventato il mio “vecchio amico” dolente.
Quindi, ora che ho 36 anni e due operazioni alle spalle (in tutti i sensi), mi ripongo la domanda: tornare a judo è una follia o una scelta coraggiosa? Qualcuno potrebbe chiedersi perché mi tormento così, perché non prendo semplicemente una decisione e vado avanti. E la risposta è semplice quanto complicata: sul tatami cambia tutto. Assolutamente tutto.
Il judo non è solo uno sport. È una filosofia di vita. Quando sei lì, sul tatami, ogni preoccupazione, ogni frustrazione scompare. La cattiveria del mondo, le menzogne, le tensioni della vita quotidiana svaniscono come per magia. Sei solo tu, il tuo avversario (che in realtà è il tuo miglior alleato) e una sensazione di purezza che non riesco a spiegare del tutto. È come se il mondo si fermasse e ti lasciasse vivere un momento di totale onestà. La competizione è sì intensa, ma al tempo stesso leale, senza spazio per l’ipocrisia.
Anche quando non sono lì a lottare, il semplice atto di andare a fare Taiso (ovvero ginnastica preparatoria per il judo) mi fa stare bene. Ogni movimento sembra un passo verso la serenità, un modo per rimettere ordine nel caos che spesso si annida nella mia mente. E non sono l’unica a pensarla così. Persino Katy, la mia compagna, che ho letteralmente trascinato al dojo, ha confessato di sentirsi meglio dopo una lezione. Ha anche detto che le “fa strano”. Strano, sì, ma in senso positivo. Il judo ha un effetto su di noi, su chiunque ci entri in contatto.
Eppure, non posso ignorare il rischio. C’è quella voce nella mia testa che mi sussurra: “E se il ginocchio cede di nuovo? Se stavolta non si riprende?” Lo so, potrei sempre accontentarmi del Taiso, limitarmi alla preparazione fisica e evitare le cadute, i lanci, i colpi diretti. Ma è davvero questo il modo in cui voglio vivere il judo? Limitarmi, mettermi freni? La verità è che sul tatami, anche con tutte le precauzioni del mondo, c’è sempre un elemento di rischio. E forse è proprio questo che lo rende così affascinante. Il rischio, la possibilità di fallire, di farsi male. Ma anche la possibilità di vincere, di superare se stessi.
La domanda, dunque, rimane: judo, sì o no? Se dovessi ascoltare solo la testa, la risposta sarebbe probabilmente no. Troppo pericolo, troppe incognite. Ma se dovessi ascoltare il cuore, beh, la risposta sarebbe un sì convinto. Perché, alla fine, judo non è solo uno sport, è un modo di vivere. È il luogo dove mi sento a casa, dove riesco a ritrovare me stessa, anche quando tutto il resto sembra andare a rotoli.
E quindi, qui mi trovo, divisa tra ragione e passione, tra sicurezza e avventura. Non ho ancora preso una decisione definitiva, ma una cosa è certa: non posso ignorare ciò che il judo rappresenta per me. Potrebbe essere una pazzia tornare sul tatami, ma potrebbe anche essere la scelta più giusta che possa fare.
Quindi, per ora, lascio la porta aperta. Il tatami mi chiama, e io so che, prima o poi, risponderò.