Eccoli, i famosi trent’anni. Mi sono sempre sentita giovane, ma oggi mi rendo conto che gli anni passano e che sono diventata una donna. D’ora in avanti, quando mi guarderò allo specchio, scoprirò qualche nuova rughetta, un nuovo capello bianco … Diciamo che ho ancora una quarantina d’anni per profittarne al massimo!
Giovedì 07 Agosto 2018
Caro diario … no scherzo! Penso che le ultime volte che ho scritto è stato quando ne ho sentito veramente il bisogno, fino a qualche anno fa.
Trent’anni, diciamocelo, fa schifo, però nasce una nuova consapevolezza, quella che la vita è così com’è e che bisogna accettarla per ciò che è.
Rispetto a una decina di anni fa mi sento sicuramente più sicura e le vecchie ferite si stanno pian piano ricucendo.
Senza “filosofare” di più, oggi è una giornata ordinaria come le altre. Devo aggiornare due siti Moodle, delle piattaforme che servono ai radiologi, medici e i professionisti del mondo medicale a formarsi online. Quindi effettivamente oggi mi definiscono e mi definisco “programmatrice web”, ovvero quella che si occupa del codice che sta dietro ad un qualunque sito web.
Quindi, rispetto a ciò che mi aspettavo almeno cinque anni fa, oggi sono una persona ordinaria, con un lavoro ordinario, e una casa ordinaria. Alla fine mi sono resa conto che il canto non era il mio vero obiettivo. Con il tempo ho scoperto che la mia unica voglia era quella di vivere in pace e in serenità, lontano da tutti, vivendo in una piccola casetta con una donna che avrei amato.
Trent’anni sono lunghi da raccontare, quindi approfondirò ogni punto alla volta.
Bene ancora 8743 files da mettere online, ho ancora un po’ di tempo.
Dicevo, una volta arrivata in Francia, esattamente sei anni fa, mi sono posta mille domande. Ero una ragazza che pensava di essere speciale e di poter cantare nei teatri di tutto il mondo. Se avessi voluto, avrei potuto farcela. Invece ho deluso il mio maestro di canto, la persona che mi ha sostenuto durante tutto questo percorso, per trovare la mia strada. Penso di essermi legata così tanto al canto perché non avevo una vera e propria identità. Sei anni fa ero distrutta, avevo avuto ogni tipo di delusione amorosa, avevo perso la mia mamma che adoravo, avevo perso tutti gli amici, la casa, le mie cose … insomma, tutto. Arrivando da mia nonna materna, pian piano mi sono resa conto che la vita era ben più complicata e che i miei sogni, o le mie passioni, avevano distrutto i rapporti che avevo con gli altri. Così ho imparato a (ri)scorpire le persone, a far veramente attenzione a ciò che dicevano. In questo modo ho capito che mi mancava qualcosa d’importante, una famiglia, qualcuno su cui contare, delle abitudini quotidiane, qualche piccolo piacere. Ero così concentrata sul mio obiettivo che non vedevo altro che me stessa.
Ero già persa, quando sono arrivata in Francia, ma poi mi sono resa conto che il canto non era più così importante per me, già per il fatto che mi aveva allontanata da mia madre nel momento del bisogno, e poi una volta morta, non avevo più voglia di farlo, perché era inevitabilmente qualcosa che era legato a lei, e che quindi era svanito nel nulla insieme a lei. Non c’era più passione, ma solo un automatismo di movimenti e di suoni che non avevano veramente più senso.
Ctrl + S
per salvare ciò che ho scritto fino ad ora. Fatto.
In questi sei anni mi sono scoperta, ho forgiato il mio carattere e ho costruito la mia vita, e per questo ne sono fiera. Perché sono veramente partita da zero, senza soldi, senza nessuno su cui contare.
La gente che mi aveva conosciuto in Italia pensava che fossi forte, che sapessi ciò che volevo dalla vita. Invece non ero così, ero, come già detto, totalmente persa.
Bene, ora che questo punto mi pare abbastanza esaustivo, ora posso continuare a crogiolarmi sulla fine del libro di Sarah Waters, Gli Ospiti Paganti, finire gli aggiornamenti e continuare il sito di un cliente, un amico di Leon (ci sarà una sezione a parte dedicata a Leon), senno domani mi ammazza e soprattutto farà del blablà a non finire.
Stesso giorno, 18h35
Rieccomi. Alla fine l’aggiornamento del sito non è andato bene. Durante l’operazione il server si è impallato perché avevamo superato il limite del peso massimo supportato. Infatti il processo si è interrotto proprio mentre aggiornavo la base dei dati. Dopo un’ora sono riuscita a ritornare alla versione precedente, meno male che avevo salvato tutto il progetto.
Ora sto bevendo la seconda birra. Sto aspettando Inès, la mia compagna, da più di un’ora e mezza. Normalmente avrebbe dovuto buttare soltanto l’immondizia. Nessun cenno di vita.
Ora sto pensando a mio padre. Scrivere mi ha fatto pensare a tante cose del passato, e una parte importante, l’ha sicuramente occupata mio padre.
Fin da piccola, verso i sei anni, ho sempre avuto paura di lui. Il nuovo lavoro vicino a Roma e le nuove responsabilità da dirigente, penso che lo abbiamo cambiato. Quando eravamo a Napoli non era così. Si occupava di me, mi portava in ufficio, mi insegnava la differenza fra le varie specie di pesci. Ero veramente felice.
A Roma, tutto è cambiato. Non so se dipenda dal fatto che sia nato mio fratello, o per le nuove responsabilità, penso più per questo, ma è cambiato radicalmente. Si è chiuso in sé stesso ed ha iniziato a bere. A bere tanto. Ho sempre avuto paura per mamma, mi allarmavo per ogni piccolo rumore. Volevo proteggerla a tutti i costi. Da piccola non capivo cosa fosse l’alcolismo, o vivere in solitudine. Oggi posso capire, ma a differenza sua ho seguito una terapia, so perché bevo, e non arrivo al punto di star male e di rimettere tutta la notte. Ritorniamo a mio padre. Per ciò che faceva subire a mia madre, l’ho profondamente odiato. C’era tanta violenza, le urla echeggiavano continuamente nella mia testa. Da quel momento in poi non posso dire di aver avuto una vita felice. Infatti, sempre a Roma, non sapevo ancora il perché, ma ho iniziato a mangiare. La notte ero sonnambula, e mangiavo.
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