Berlino, 1932.
L’odore pungente della cera sciolta e della cannabis aleggia nell’aria, mescolandosi ai mormorii di una serata che sembra sul punto di implodere. Il soffitto, avvolto da una coltre opaca di fumo, trattiene l’eco di risate e sussurri, mentre un’energia quasi grottesca pulsa tra i presenti, sospesa tra ebbrezza e creatività stagnante.
Agatha si alza, il suo mantello si muove come un’ombra viva. La sua voce, morbida ma tagliente, si spande tra gli artisti distratti, catturandone l’attenzione.
“Allora, ditemi… che musica ascoltate per ispirarvi?” chiede, alzando il mento in un gesto teatrale. Lo sguardo tradisce aspettative ben precise: risposte banali da demolire con cinismo studiato.
Rio, seduta sul pavimento con le gambe incrociate, osserva la scena. La sua espressione è un mix di divertimento e rassegnazione. Conosce Agatha, sa dove vuole arrivare, ma sceglie di non intervenire. Non ancora.
“Jazz, blues, classica… e voi?” Una voce risponde. È una ragazza giovane, la bottiglia di vino quasi vuota stretta tra le dita, il sorriso malizioso dipinto sulle labbra.
“Tu sei americana, vero? Immagino che da voi abbiate accesso a musica… più sofisticata.”
Agatha sorride, compiaciuta dell’attenzione.
“Sì, diciamo che non ci accontentiamo di quello che passa la radio. Cerchiamo la vera musica, quella che risuona oltre le note. A volte, persino cantiamo insieme… un percorso, un sentiero. La strada delle streghe, se capite cosa intendo.”
Le sue parole sono un amo lanciato con cura, e la preda abbocca subito.
“La strada delle streghe?” domanda un’altra, alzando il bicchiere in un brindisi simbolico.
Promette di aprire porte ai nostri desideri più profondi, vero? Tu ci credi davvero?”
“Oh, sì,” replica Agatha, la voce intinta di sarcasmo e mistero. “Perché non provare? Cantiamo insieme. Magari, alla fine, scoprirete di essere capaci di qualcosa… oppure no.”
Rio scuote la testa, il sorriso appena accennato ma divertito. Conosce troppo bene questo gioco: Agatha sta provocando, scavando, sfidando quei sognatori dall’ego fragile.
Le prime note si diffondono nella stanza, stonate e incerte. Agatha, seduta in disparte, osserva con un sopracciglio alzato, tamburellando le dita sul ginocchio.
“È tutto qui? Dove sono la potenza e la passione? State cantando o cercando di far addormentare un gatto?”
I presenti ridono nervosamente, ma alcuni si lanciano occhiate sfidanti. Una scintilla di magia si accende sulla punta delle dita di un giovane dal volto pallido. Agatha lo nota, e il suo sguardo si illumina.
“Finalmente. Qualcuno con un po’ di spina dorsale.”
Ma la tensione si dissolve rapidamente. L’hashish prende il sopravvento, e le note si intrecciano in un caos di risate e sussurri. Rio si alza, si avvicina con calma e afferra delicatamente il braccio di Agatha.
“Amore, vieni. Siediti. Non ne vale la pena.”
Agatha, sorpresa dalla fermezza di Rio, esita, poi si lascia cadere a terra accanto a lei.
“Ma… erano così vicini…” protesta con un filo di voce.
Rio sorride appena, il tono pacato.
“Non tutti cercano quello che cerchi tu, Agatha. Alcuni si accontentano di perdersi per un po’. Non è un crimine.”
Le due rimangono lì, sedute sul pavimento. Rio si sdraia, le mani intrecciate dietro la testa, e fissa il soffitto.
“Non vuoi provare anche tu?” chiede Agatha, il tono sarcastico ma con una sfumatura di curiosità sincera.
“Provare cosa? Perdere il controllo?” risponde Rio, con un sorriso più evidente. “No, grazie. Ho già abbastanza lavoro da fare con te.”
Agatha ride. È una risata cristallina, spontanea, quella che Rio non sentiva da tempo.
“E cosa pensi di me, allora? Di questa mia… sete infinita?”
Rio la guarda, il volto rilassato ma lo sguardo intenso.
“Penso che tu stia cercando qualcosa che non potrai mai avere.”
“E quale sarebbe questa cosa?”
“La pace.”
Le parole di Rio colpiscono Agatha più di quanto vorrebbe ammettere. Si sdraia accanto a lei, fissando lo stesso punto indefinito del soffitto.
“E tu? Cos’è che cerchi?”
“Un po’ di silenzio, ogni tanto,” risponde Rio con tono scherzoso. Ma c’è una verità nascosta sotto quella battuta, e Agatha lo sente.
Rimangono lì, assorbite l’una dall’altra, mentre le risate degli artisti si dissolvono in sottofondo, ormai lontane. Non serve dire altro. In quel momento, le parole non sono necessarie.