In quella sera del 1959, il silenzio della casa sembra avere una vita propria. Agatha si aggira per la cucina, ogni passo un suono cavo, un rintocco che rimbalza su pareti ormai spente. La casa, un tempo viva, è diventata un guscio vuoto che trattiene l’eco dei giorni felici, quasi beffandosi di lei. Fissa il tavolo, dove Nicholas aveva disegnato mostri immaginari con una fantasia così vivida da sembrare reali. Le linee colorate si dissolvono nei suoi ricordi, trasformandosi in fantasmi dolci e dolorosi che non può più toccare.
Ogni angolo, ogni oggetto sembra ancora respirare il passato, eppure qualcosa si è spento, come un quadro che lentamente perde i colori. Gli odori di cioccolato e farina, così vivi nei pomeriggi in cui Nicholas rubava leccornie, ora hanno il sapore amaro della mancanza. Una volta c’era Rio, con il viso imbrattato di cioccolato, che faceva la strega cattiva per far ridere il loro bambino. Ora quegli odori, quelle risate, sono solo ombre che si dileguano con il minimo movimento.
E poi c’è il vuoto. Rio è ancora qui, o almeno così le sembra. La sua figura si staglia come un’ombra appena percettibile nell’angolo della sua visione, tra i ricordi. Ma il silenzio è assordante, e Agatha, nel suo dolore, spera che sia reale, che ci sia una mano, una parola, una qualsiasi traccia di compassione. Tuttavia, la presenza di Rio è più simile a un’assenza. Lei è lì, eppure lontana. Troppo lontana.
“Perché non vieni da me?” sussurra Agatha, la voce spezzata dall’emozione, eppure abbastanza forte da vibrare tra le mura vuote. È una richiesta, un grido soffocato che risuona nel vuoto. E il vuoto risponde solo con il silenzio.
Rio non si è mai avvicinata, non ha mai allungato la mano per condividere il peso di questo dolore. La distanza tra loro non è solo fisica: è uno spazio invisibile che si è allargato ogni giorno, trasformando la donna che era stata il suo sostegno in un’estranea. E questa assenza pesa su Agatha come un macigno, un sentimento di tradimento che lentamente divora ogni barlume di speranza.
“Forse non sono abbastanza forte per te,” grida, il tono carico di un’amarezza disperata. “Forse il mio dolore non è abbastanza potente da raggiungerti.” E si lascia cadere contro la parete, il corpo pesante come se fosse trascinato giù da tutte le lacrime che non riesce più a trattenere.
Rimasta sola, si aggrappa alla disperazione come unica fonte di calore. Si lascia trascinare dai pensieri più bui, tormentandosi con l’idea che, in fondo, tutto questo è solo il riflesso delle sue colpe. Ha portato Nicholas nel mondo, ha amato quel bambino con tutto il suo essere, e alla fine è stata proprio la sua magia, il suo potere, a strapparlo da lei. L’atto stesso di essere sua madre si è trasformato nella sua condanna.
“Sono sola,” mormora, e la verità di quelle parole la scuote più di qualsiasi incantesimo o maledizione. La solitudine è diventata la sua ombra, il silenzio il suo unico compagno. Ogni giorno, ogni istante, Rio sembra allontanarsi sempre di più, come se il loro legame, un tempo saldo, si stesse dissolvendo sotto il peso della loro perdita.
Poi, in mezzo al dolore, un’immagine si accende nei suoi pensieri: Nicholas, il volto dolce, il sorriso innocente. È lì, accanto a lei, come un sogno inaspettato, una visione che la invita a toccarlo, a sfiorare la sua guancia ancora una volta. Agatha allunga una mano, colta da una speranza disperata, ma in un istante la visione si dissolve, lasciando solo il vuoto.
“Non l’hai mai meritato,” sussurra una voce fredda, una voce che esiste solo nella sua mente, ma che risuona come una verità crudele. “Non hai mai meritato il suo amore, nemmeno un frammento di felicità.” Quelle parole affondano come lame, e Agatha si ritrova a tremare.
“Che cosa hai da offrire, Agatha?” continua la voce. “Hai distrutto ogni cosa che toccavi. Anche lui, il tuo bambino, l’hai abbandonato. Non hai fatto nulla per proteggerlo, l’hai lasciato cadere nel tuo stesso abisso.”
Ogni parola è una ferita aperta, eppure Agatha sente una strana lucidità farsi strada tra le tenebre. Forse c’è solo una via d’uscita. “Devo dimenticarti, amore mio,” mormora. “Per sopravvivere, devo lasciarti andare.” Le parole escono con una calma glaciale, come se la decisione fosse già presa, come se il vuoto che sente dentro fosse l’unica soluzione alla sua sofferenza.
Dimenticare Nicholas significherebbe cancellare anche il tradimento di Rio, liberarsi da quel peso insopportabile che la tiene prigioniera. Forse solo l’oblio può ridarle la pace, un’assenza totale di emozioni che le permetta di respirare ancora. L’idea la tenta, un sussurro seducente che le promette libertà.
“Forse dimenticare è la risposta,” pensa, mentre un’ira calma, quasi gelida, comincia a prendere forma nel suo petto. Non è più solo rabbia contro il destino, è rabbia contro Rio, contro chi avrebbe dovuto essere il suo sostegno. Si lascia avvolgere da questa rabbia, come da una coperta in una notte di gelo.
“È attraversando i confini proibiti, nutrendo i peccati, che l’anima trova libertà…” La frase le torna in mente, come una giustificazione per quello che si appresta a fare, come un mormorio oscuro che tenta di placare il senso di colpa che ancora tenta di affiorare.
Il suo cammino è deciso, il cuore si chiude, e Agatha si prepara a un atto che va contro ogni principio, ogni insegnamento.