Nel 1724, in un’Europa ancora avvolta dalle ombre di vecchie superstizioni e timori verso la magia, le streghe come Agatha e Rio sono figure quasi mitiche, creature che esistono ai margini della società e della comprensione umana. La loro storia si intreccia con segreti e poteri antichi, trasmessi attraverso generazioni, che conferiscono loro capacità straordinarie e allo stesso tempo li condannano a un’esistenza tra luce e ombra. In quel mondo dominato da chiese e inquisitori, ogni passo falso potrebbe attirare l’attenzione su di loro e risvegliare l’odio latente per ciò che non si comprende.
Agatha, giovane strega già consumata dalla fame di potere e dalla volontà di dominare il mondo degli spiriti, si è fatta un nome. Persino nei sussurri che attraversano i villaggi e nelle storie raccontate attorno ai falò, il suo nome porta con sé un misto di paura e ammirazione. Non è nuova a incantesimi potenti e a manipolazioni oscure. Ma ciò che fa inorridire anche i più coraggiosi è la sua capacità di trattenere le anime, piegandole alla sua volontà, come nel caso di Mhalia, un’anima catturata nel cuore di un’antica disputa che risale a qualche anno prima, quando Agatha ha privato quella giovane donna della vita per saziare il suo desiderio di conoscenza e controllo.
Rio, al contrario, rappresenta l’equilibrio. Il suo potere non si nutre del dominio, ma dell’accompagnamento delle anime verso la loro ultima dimora. È la guida dei morti, colei che accoglie e che mai distrugge. Per questo, il suo rapporto con Agatha è fatto di attrazione e repulsione. Sono due facce della stessa moneta, una lotta tra chi desidera spezzare ogni limite e chi cerca di rispettare i confini della natura e del destino.
Ora, in quel lontano 1724, le due streghe si trovano nuovamente a confrontarsi in un antro remoto e isolato, illuminato solo dalla luce tremula delle candele, dove Agatha prepara un nuovo spettacolo per impressionare Rio.
La luce tremula delle candele accende di ombre il volto di Agatha, che sorride soddisfatta mentre osserva Mhalia, una giovane anima che ha strappato alla vita due anni fa. Il suo corpo traslucido si muove con delicatezza spettrale, sfiorando quasi l’aria come una fiamma che si piega al minimo soffio.
“Basta contorcersi, non è molto elegante. Abbiamo un ospite importante in arrivo,” le sussurra Agatha con un tono lievemente irritato, ma con un sorriso divertito.
“Importante? Oh, sono lusingata.” La voce di Rio arriva alle sue spalle, un’ombra enigmatica e scura che riempie la stanza.
Senza voltarsi, Agatha alza una mano e con un semplice gesto fa vibrare lo spirito di Mhalia, che proietta ombre lungo le pareti. Poi si gira, con un’occhiata provocante verso Rio. Vuole che lei capisca, che veda l’artefice del potere che lei stessa ha costruito, affinato, dominato con una ferocia insaziabile.
“Guarda bene,” dice Agatha con voce dolce, ma con una sfida latente. “Non ti ho chiamata qui per niente.”
Rio le restituisce uno sguardo compiaciuto, le labbra tese in un sorriso enigmatico. “Lo spero bene, tesoro.”
Agatha vuole che Rio sappia chi detiene il controllo: è lei che ha imparato a manovrare queste anime, a piegarle alla sua volontà. Ma il sorriso di Rio, ambiguo e consapevole, sembra infastidirla, come se sapesse più di quanto Agatha intenda rivelare. Agatha, con un movimento rapido, dissolve l’anima di Mhalia in un grido silenzioso. Il silenzio che segue è intenso, quasi palpabile.
Con una soddisfazione che le brilla negli occhi, Agatha attende un complimento, o almeno un’espressione di sorpresa da parte di Rio. Ma Rio, ancora fissa sul punto in cui Mhalia è svanita, si limita a sollevare un sopracciglio e sogghigna.
“Tutto qui?” domanda Rio, con un tono di scherno, provocando un leggero corrugarsi della fronte di Agatha. Qualcosa non va. Rio non sembra impressionata.
“È tutto quello che hai da dire?” chiede Agatha, stringendo gli occhi per scrutare oltre il volto impenetrabile di Rio.
Si avvicina lentamente, quasi insinuante. “Non sarà perché… forse… quest’anima una volta ti è sfuggita di mano?” chiede, mantenendo un’aria innocente ma con un sorriso malizioso che le increspa le labbra.
Rio si gira lentamente verso di lei, i suoi occhi scintillano di un divertimento ambiguo. Si avvicina ad Agatha, i loro visi così vicini che Agatha può sentire il respiro di Rio contro la pelle, e mormora con un sorriso complice: “Ciò che mi sfugge, Agatha… trova sempre il modo di tornare a me.” La sua voce è morbida, seducente, ma un lampo d’orgoglio brilla nei suoi occhi.
“Non da solo.”
Rio aggrotta le sopracciglia, lievemente interdetta. “Che cosa intendi?”
“Senza di me non l’avresti trovata. Ha evitato la tua presa una volta, e sapeva che non avrebbe avuto una seconda occasione, non finché io ero qui.”
Rio la osserva, leggermente irritata da quell’insinuazione, poi si avvicina ancora, afferra Agatha per il mento con delicatezza, ma con una fermezza che non permette repliche.
“Sei piuttosto audace, non trovi, tesoro? E cosa ti fa pensare che le avrei mai dato una seconda possibilità?”
Agatha sogghigna, avvicinandosi di un soffio in più, lasciando che le sue dita si intreccino a quelle di Rio. “Forse… perché uccidere non è veramente nella tua natura, non è così?”
“No, tu accogli, guidi. Non distruggi.”
Rio mantiene un sorriso ghiacciato, ma Agatha vede nei suoi occhi una leggera inquietudine. Sa che Rio non è capace di annientare un’anima: lei è la guardiana, quella che accompagna i morti al loro riposo eterno, non chi cancella ogni traccia di loro.
“E come fai a esserne così sicura?” domanda Rio.
Agatha, consapevole di aver colpito nel segno, lascia che un sorriso malizioso le increspi le labbra. “Forse, Rio, perché conosco i tuoi limiti meglio di te.”
Rio percepisce che dietro la sicurezza di Agatha c’è una vulnerabilità più profonda. Lascia sfumare il sorriso di scherno, studiando la giovane strega con un nuovo interesse, una curiosità che non si aspettava. “Dimmi, Agatha… perché eri così determinata a volermi qui?” domanda Rio con un tono che è sia una sfida che una dolcezza insospettabile.
Agatha si irrigidisce per un attimo, sentendo che Rio ha colto un dettaglio che nemmeno lei intendeva rivelare. Ma si rifiuta di cedere a quella vulnerabilità e scrolla le spalle con un finto distacco.
“Volevi che ammirassi ciò di cui sei capace,” prosegue Rio, con uno sguardo divertito ma rispettoso. Riconosce questa insicurezza, questo bisogno di approvazione che Agatha nasconde sotto la sua fierezza, ma evita di sottolinearlo troppo direttamente. Invece, lascia che il suo sguardo si addolcisca per un momento e si avvicina, sfiorandole la mano.
“Impressionata, lo sono,” dice, con un occhiolino complice. “Ma ricorda… il vero potere non dipende dagli spettatori.”
Agatha sospira, un sussurro carico di emozioni trattenute, mentre un lampo d’orgoglio accende i suoi occhi scuri. Per un momento, lascia cadere la maschera: l’incontro con Rio l’ha colpita più di quanto voglia ammettere. Un sospiro profondo, un attimo di vulnerabilità che sfiora la superficie, ma che lei scaccia con un sorriso che appare tanto più sinistro quanto più si addolcisce.
“Potrebbe essere vero,” ammette infine, inclinando appena il capo. “Ma, Rio, a che serve il potere se non c’è nessuno a cui mostrarlo?”
Rio la osserva in silenzio, lasciando che le parole di Agatha risuonino nella penombra della stanza. Non è solo una risposta: c’è qualcosa di più, un desiderio di approvazione nascosto nel cuore della giovane strega, uno spazio vuoto che nessun incantesimo può colmare. Rio sente la sincerità dietro le sue parole, quel bisogno inconfessato di non essere solo una presenza temuta, ma anche ammirata, forse persino amata.
Con un sorriso enigmatico, Rio lascia scivolare le dita lungo la guancia di Agatha, un tocco leggero come il respiro di un fantasma. “Un giorno capirai, Agatha,” mormora. “Il vero potere è quello che non hai bisogno di mostrare.”