C’è questa faccenda, spesso taciuta, altre volte distorta a piacere, che merita invece attenzione, voce e un bel po’ di rispetto. Parliamo della bisessualità. Già, proprio lei. Quella parola che qualcuno sussurra con dubbio, qualcun altro snobba come fosse una moda passeggera, e altri ancora faticano perfino a pronunciare. Eppure, dietro quelle undici lettere c’è un mondo intero. E no, non è tutto arcobaleni e glitter. C’è anche tanta confusione, pregiudizio e voglia di farsi capire.
Cominciamo dalla base, perché a volte fa bene tornare alle origini e togliersi di dosso un po’ di ignoranza travestita da opinione. Essere bisessuali significa provare attrazione emotiva, romantica e/o sessuale verso più di un genere. Punto. Non vuol dire essere indecisi, instabili o pronti a saltare su qualsiasi cosa respiri. Significa che si può amare e desiderare persone con identità di genere diverse, senza che questo tolga valore o coerenza all’orientamento.
E no, non è una fase. Non è il traghetto tra l’etero e il gay, né il parcheggio delle anime confuse. La bisessualità esiste. Esiste da sempre, in tutte le culture, in tutte le epoche, anche quando non aveva un nome. Gli antichi greci e romani ci facevano poesia, letteralmente. E sebbene i termini di oggi non esistessero, le pratiche c’erano eccome, e non avevano tutta questa smania di etichettare. Erano. Punto. Forse ci battevano pure in libertà mentale, ma questo è un altro discorso.
Il problema vero, oggi, è che la bisessualità sta stretta. Sta stretta agli schemi, ai discorsi in bianco e nero, a chi ha bisogno di categorie precise per stare tranquillo. È per questo che spesso viene ignorata, ridicolizzata, messa da parte. Si chiama bi-erasure, e non è uno scherzo. Significa negare l’esistenza della bisessualità. Capita ovunque: nei media, nella cultura pop, perfino all’interno della stessa comunità LGBTIQ+. Una persona bi sta con un uomo? Ah, allora è etero. Sta con una donna? Allora è lesbica. Ma perché mai? Perché si fa così fatica a capire che una persona non diventa meno bi in base a chi ama?
E se pensi che la bifobia venga solo da fuori, ripensaci. Anche dentro la comunità, c’è chi ti guarda come se dovessi scegliere da che parte stare. Come se stare in mezzo fosse un problema, un tradimento. Invece, è solo un altro modo di esistere. Legittimo, autentico e fiero. La bifobia, però, non è solo una questione di sguardi storti o battute infelici. È anche isolamento, invisibilità, mancanza di spazi sicuri. È il sentirsi fuori posto ovunque, e dover spiegare ogni volta che sì, esisti davvero, anche se non corrispondi alle aspettative di nessuno.
Un’altra leggenda urbana? Tutti i bisessuali sono promiscui. Cioè, davvero ancora con sta storia? La fedeltà non c’entra un fico secco con l’orientamento sessuale. C’è chi è monogamo, chi poliamoroso, chi non sa nemmeno cosa sia la monogamia ma ha una sua etica cristallina. Come in qualsiasi altro gruppo umano. Ridurre la bisessualità a una questione di corna è di una superficialità che manco nei rotocalchi anni ’90.
E già che ci siamo, smontiamo un altro mito: bisessuale è diverso da pansessuale. Non per forza opposti, ma nemmeno sinonimi. Una persona pansessuale prova attrazione indipendentemente dal genere. Per qualcuno il genere non è proprio rilevante. Per una persona bisessuale, invece, l’attrazione può essere verso più generi, ma con consapevolezza del genere dell’altro. In pratica, entrambe le etichette sono valide, utili e rispettabili. Basta chiedere alle persone cosa sentono di essere, senza ficcare loro addosso definizioni da dizionario o interrogazioni da quiz.
La verità è che di bisessualità si parla poco, male o per niente. E questo silenzio fa male. Fa male a chi ci si ritrova dentro e non sa darsi un nome, fa male a chi viene zittito o etichettato come confus* solo perché non rispetta le caselle precompilate. Fare coming out da bisessuale non è una passeggiata. Già non lo è per nessuno, ma se sei bi spesso devi fare il doppio della fatica. Perché ti tocca spiegare, giustificare, chiarire. E anche così, c’è sempre qualcuno che ti guarda di sbieco.
Ma esiste un modo giusto per fare coming out? No, e chi dice il contrario mente. Il modo giusto è il tuo. Quello che ti fa sentire al sicuro, ascoltato, rispettato. C’è chi lo fa con un post su Instagram, chi a cena con mamma e papà, chi non lo fa mai apertamente ma vive comunque nella propria verità. E va bene così. Nessuno deve nulla a nessuno, se non la propria serenità.
Il 23 settembre è la Giornata della Visibilità Bisessuale. Una di quelle date che, se ci pensi, dovrebbero essere scritte a caratteri cubitali sui calendari. Perché è il giorno in cui chi è bisessuale può urlarlo al mondo con orgoglio, senza dover dare spiegazioni. Ed è anche il giorno in cui chi non ne sa nulla, o ne sa poco, può imparare qualcosa in più. Tipo che la bandiera bi ha tre colori: rosa, viola e blu. Rosa per l’attrazione verso lo stesso genere, blu per quella verso l’altro, e viola per tutto quello che sta in mezzo e oltre.
A guardar bene, la bisessualità è una finestra spalancata sulla complessità dell’essere umano. Ti ricorda che il desiderio, l’amore e l’identità non sono binari fissi, ma strade che si intrecciano, si allargano, si contraggono. Che la vita non sta sempre dritta in un grafico, e che la libertà vera è potersi raccontare come si è, senza dover rispondere alle attese degli altri.
Quindi no, la bisessualità non è una moda, non è un periodo, non è un compromesso. È un’identità. E come tutte le identità, merita rispetto, visibilità e spazio. Anche, e soprattutto, quando dà fastidio ai paladini dell’etichetta unica. Parlarne, scriverne, viverla: ecco cosa possiamo fare. Però davvero, senza paternalismi, senza battute fuori luogo, senza far finta che “tanto adesso è tutto più semplice”.
Perché la verità è che c’è ancora tanto da fare. E questo testo, nel suo piccolo, vuole solo aprire un varco. Una porta lasciata socchiusa per chi vuole capire meglio, per chi si ritrova nelle parole di sopra e per chi ancora cerca il coraggio di dirlo. Bisessuale. Sì, con tutte le lettere giuste, con la testa alta e senza vergogna. Perché è così che si cambia il mondo: una parola alla volta.